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Discussione: Un giorno al volante di una Trabant

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    Predefinito Un giorno al volante di una Trabant

    Anni fa ho avuto la possibilità di guidare una Trabant.
    Scrissi per un amico che aveva realizzato un sito dedicato alle auto dell'Est Europa, pieno di informazioni sulle varie marche e modelli. Ricordo che ci scambiammo parecchie informazioni, anche perchè allora capitavo spesso in Germania per lavoro e quindi raccogliere era molto semplice. Oggi ho visto che il sito è stato rimosso (e questo la dice lunga sul valore delle informazioni che girano in rete). Copio e incollo la mia tragicomica prova su strada della Trabant, affinchè non vada persa:

    ognuno di noi ha un elenco personale di cose che avrebbe sempre voluto fare. Una delle voci del mio era “guidare una Trabant”. Del vecchio tipo, quella a miscela.

    Per me la Trabant (Trabi per gli amici) non è solo una macchina. E’ la dimostrazione di come la passione per l’automobile possa fiorire anche sotto una dittatura. Di come l’automobile sia uno strumento di libertà, spesso sottovalutato da noi che siamo nati e cresciuti in un’economia di mercato e diamo per scontata la possibilità di scegliere, conto in banca permettendo, tra centinaia di modelli diversi.

    Ogni volta che ne vedo una, mi viene in mente quell’estate alla fine degli anni ’80, quando la DDR stava perdendo cittadini al ritmo di migliaia al giorno, che migravano all’ovest in uno sciame di Trabi colorate, cariche all’inverosimile. E mi ricordo le parole di un amico, che la notte che venne giù il Muro di Berlino, caricò la famiglia sulla Trabant color verde ranocchio e la guidò fino a Berlino, con la paura di trovare in ogni momento la strada sbarrata dai carri armati. E invece una volta arrivato, attraversò il Muro passando per un varco non più largo di un metro, sotto gli occhi della polizia della DDR che non sapeva come reagire. Quello sarebbe stato uno degli ultimi viaggi della Trabi. Di lì a poco la vetturetta sarebbe andata verso quel posto dal quale le automobili difficilmente ritornano, sostituita da una più moderna, più spaziosa, più performante Opel Kadett usata. Mi piace pensare che, se esiste un paradiso per le automobili, ci sia posto per quella Trabi verde ranocchio, che ha accompagnato il mio amico, come tanti altri tedeschi dell’ex DDR, verso la libertà.

    Già, la Trabant. Sembra una macchina americana degli anni ’50 in scala ridotta. A vederla la prima volta dà l’impressione di un grosso giocattolo. Tre metri e mezzo di lunghezza per meno di uno e mezzo di larghezza e carrozzeria di plastica (il termine esatto è “duroplast”), come nelle macchine giocattolo che da noi usano i bambini. Ne vedi una e ti viene da guardare sotto per vedere se ci sono i pedali. Invece apri il cofano e ci trovi dentro il massimo della semplicità, motore bicilindrico a miscela, raffreddato ad aria, con sopra il serbatoio della benzina (l’alimentazione è per caduta, come nelle motociclette) e di fianco la batteria.

    Solo che questo giocattolo era l’unica macchina che il comune cittadino della DDR potesse aspirare di poter possedere. C’erano due possibilità. Comperarla nuova oppure usata. Nel primo caso bastava mettersi in lista d’attesa, attendere 10-12 anni e prima o poi la macchina sarebbe arrivata. Spesso più poi che prima, perchè c’era sempre qualcuno che ti passava avanti nella lista d’attesa, perchè aveva gli agganci giusti. Nel secondo caso occorreva sperare che ci fosse qualcuno disposto a separarsene. E nella maggior parte dei casi pagare quello che veniva chiesto, perchè il margine di trattativa era molto ridotto, prendere (e pagare) o lasciare. Al pari delle Ferrari d’annata, una Trabant usata costava molto di più che da nuova.

    Per carità, l’industria automobilistica della DDR (e quella del blocco sovietico in generale) offrivano numerose alternative alla Trabant. Per esempio c’era la Wartburg. Solo che per il comune cittadino queste alternative erano praticamente virtuali, perchè queste vetture erano destinate in primis a quelli che ne avevano bisogno per motivi di lavoro (funzionari governativi, polizia ed organizzazioni statali), a quelli che facevano parte della nomenklatura ed a quelli che se l’erano meritata, ad esempio perchè avevano mostrato la superiorità degli atleti della DDR vincendo una medaglia alle olimpiadi. Al comune cittadino non restavano che le briciole. E così, mentre noi italiani viaggiavamo con la 127 o la Uno ma sognando Ferrari e Porsche, il tedesco della DDR girava con la Trabant, ma nei suoi sogni proibiti aveva in mente il capolavoro della tecnologia motoristica del blocco sovietico, cioè quella Lada berlina con la quale si facevano vedere in giro i militari russi.

    Una volta entrati in possesso dell’agognata vettura, occorreva impararne ad averne cura. La prima e più importante ragione era che averne un’altra non sarebbe stato poi così facile. La seconda era che se è vero che la Trabant è una vettura molto semplice, costruita con la filosofia del “quello che non c’è non si rompe”, era purtroppo altrettanto vero che quello che c’era si rompeva fin troppo spesso. La qualità della componentistica lasciava a desiderare, anche per via dei vincoli che il Partito imponeva alla casa. Ad esempio, si era stabilito che la vernice per la carrozzeria di qualità migliore fosse destinata alla Wartburg di Eisenach, mentre alla fabbrica di Zwichau che assemblava le Trabant toccava quella più scadente. Se la carrozzeria di duroplast era immune dalla ruggine, non altrettanto poteva dirsi per il telaio, per cui era buona norma dare periodicamente una bella pennellata di vernice al telaio per cercare di preservarlo dalla corrosione un po’ più di quanto avesse fatto la casa. Occorreva poi imparare il fai da te, per poter effettuare gran parte della manutenzione ordinaria in proprio, visto che la rete di assistenza lasciava alquanto a desiderare e per poter essere in grado di improvvisare una riparazione di emergenza nell’eventualità non poi così remota, che la vettura si fermasse all’improvviso. E infine occorreva imparare tutti quei trucchi che potevano fare la differenza. Ad esempio nelle fredde notti invernali, visto che pochissime case avevano il garage, per assicurare un pronto avviamento il mattino successivo era buona norma smontare la batteria e tenerla al caldo in casa.

    A più di dieci anni dalla riunificazione, la Trabant è diventata una specie in estinzione. Inquinante, rumorosa, scomoda, poco sicura, è stata rapidamente sostituita senza troppi rimpianti con vetture occidentali. Le stesse che vengono oggi costruite nelle nuove fabbriche sorte nei Lander della ex DDR. La fabbrica che produceva le Trabant ha chiuso i battenti ed è diventata un distributore di ricambi. Gran parte degli operai sono stati assorbiti dal vicino stabilimento VW, che assembla vetture della casa di Wolfsburg. Per cui se volevo cancellare la voce “Guidare una Trabant” dall’elenco, avrei fatto bene a sbrigarmi.

    ------------------

    L’occasione è capitata. Ed è stata presa al volo. Con una buona dose di incoscienza per me, che da anni guido automobili “moderne”. Pensandoci con il senno di poi, il rischio di farsi e fare male c’era e come. Ma, si sa, la fortuna aiuta gli audaci. E io, modestamente, audace lo sono stato. La vettura mi è stata gentilmente prestata da un ragazzo che ho incontrato davanti ad un Imbiss nei dintorni di Lipsia, dove mi ero fermato per prendere qualcosa da mangiare in una gita domenicale. Quelle che vengono di seguito sono dunque le riflessioni di un comune automobilista occidentale, che si è trovato per un’ora al volante della storia.

    La vettura era un modello P601 De Luxe costruita nei primi anni ‘80, color carta da zucchero con il tetto bianco e gli interni in finta pelle marrone (kristallblau, secondo la “specifica trabantica”, cioè la denominazione ufficiale). La vettura era un po’ raffazzonata in un discreto stato di conservazione, o di disintegrazione, dipende da come la si guarda.

    Salendo a bordo, la prima impressione è stata di claustrofobia. Lo so, sono abituato male. La mia macchina è un VW New Beetle, che al posto del cruscotto ha una scrivania presidenziale. Invece nella Trabant il parabrezza è lì, subito dietro la strumentazione, piccolo e verticale, a pochi centimetri dal naso. Sembra essere pronto ad attendere che ci sbatti sopra la faccia. Ovunque mi girassi, la sensazione era di mancanza di spazio. La spalla sinistra mostruosamente vicina alla portiera, quella destra a pochi centimetri dalla spalla del passeggero, la pedaliera disassata verso il centro. E’ come se avessero sbagliato la temperatura di lavaggio e l’abitacolo si fosse ristretto di un paio di taglie almeno. L’unica cosa che riporta alla normalità è il volante, grande e con la corona sottile di plastica dura, come sulle utilitarie degli anni ’60.

    A questo punto non mi è rimasto che accettare la realtà, e cioè che la Trabi è una di quelle macchine nelle quali non è il posto guida ad adattarsi al guidatore ma il contrario. A dire il vero questo si applica anche ai passeggeri, in particolare a quelli posteriori, che di spazio per le gambe ne hanno veramente pochino. Comunque ho aggiustato il sedile, messo a posto gli specchietti e mi sono ritagliato una posizione di guida, se non proprio comoda, almeno non troppo scomoda.

    La strumentazione è ridotta al minimo. Tachimetro, contachilometri e qualche spia. Non c’è l’indicatore del livello del carburante. Come nei vecchi motorini, al suo posto c’è un rubinetto a tre posizioni: chiuso, normale e riserva. Per una misurazione più precisa bisogna aprire il cofano, svitare il tappo del serbatoio e inserire un’astina, disponibile come accessorio.

    Dal momento che l’alimentazione avviene per caduta perchè il serbatoio è giusto sopra il motore, quando si parcheggia la macchina, occorre ricordarsi di chiudere il rubinetto della benzina, per evitare di trovarsi con il serbatoio (26 litri) vuoto e il motore allagato. Nel modello De Luxe il rubinetto è collocato sulla plancia, in una zona facile da raggiungere. Passare in riserva non appena il motore comincia a tossire è relativamente facile. Nel modello base occorre chinarsi in basso. In tempi passati, essere centrati da una Trabant impazzita il cui guidatore si era chinato sotto il cruscotto per girare il rubinetto non era una eventualità tanto remota. Inutile dire che cosa succedeva se, al rifornimento, ci si dimenticava di riportare il rubinetto da “riserva” a “normale”. La signorilità che in passato accomunava i possessori di Trabant faceva si che essi si astenessero dal fare domande scontate quando vedevano una Trabant che arrivava alla pompa spinta dal proprietario.

    Con il proprietario seduto a fianco, il cuore che mi pulsava in gola, consapevole che ormai ero ben oltre il punto di non ritorno e non potevo certo tirarmi indietro se non a costo di rimediare una figuraccia, ho girato la chiave e ho messo in moto. La macchina deve aver ascoltato le mie silenziose preghiere, perchè è andata in moto al primo colpo. Meno male che il motore era caldo e non c’è stato da armeggiare con lo starter.

    Dopo essermi fatto spiegare la posizione delle varie marce, ho messo la prima ed ho sollevato lentamente la frizione. Memore della cronica carenza dei coppia dei due tempi, tanto più se dei bicilindrici, ho dato un po’ di gas e la macchina è partita. Sulle prime un po’ titubante, ma non proprio a canguro. Il cambio ha la leva sul cruscotto, vicino al volante, come nelle utilitarie francesi. L’idea in sè non è malvagia, visto che una cloche tra i sedili avrebbe significato una ulteriore sottrazione di spazio.

    Ci sono a disposizione quattro marce e una retromarcia. Dove siano di preciso, non si sa. Dire che gli innesti sono imprecisi è un eufemismo, una perla di humour inglese, come quando un londinese purosangue ti dice “you’re not very tall”, per dirti che a malapena sei alto un metro e una lattina di Coca Cola. Non so se questa fosse una caratteristica intrinseca della Trabant o se fosse l’esemplare da me provato ad essere particolarmente malconcio, fatto sta che le prime cambiate sono andate a vuoto. Dopo qualche bestemmia del quarto grado della scala Mercalli e le inevitabili grattate e sfollate (con il mio passeggero che rideva), sono riuscito ad entrare, se non proprio in sintonia con la trasmissione, almeno non in guerra aperta e posso dire (non senza una punta di orgoglio) di essere riuscito ad imbroccare le successive cambiate al primo o al massimo al secondo tentativo. Scalate comprese. Comunque le marce dalla seconda in su (la prima non so perchè l’ho messa solo da fermo) sono sincronizzate e, posto di inserirle correttamente, si riesce a cambiare senza grattare, anche perchè la frizione è leggera e stacca bene senza strappare.

    Su strada la vettura procede dignitosamente. L’assetto è un po’ dondolante e lo sterzo impreciso, il che, più che un invito, è un monito alla guida turistica. A regnare sovrano è invece il rumore. In teoria non lo si dovrebbe sentire perchè, come dice una barzelletta, il rumore nella Trabant non si sente perchè è una macchina nella quale si sta seduti con le ginocchia appoggiate alle orecchie. Invece il motore comunica la sua presenza alla grande, come se fosse installato praticamente dentro l’abitacolo. Impossibile non rendersi conto che si è spento. Al rumore della meccanica si accompagna il “concerto grosso” per pannelli e finiture varie che scricchiolano. Se qualcuno ha in mente la pubblicità della Golf seconda serie e dell’orecchino, beh, qui il meccanico ha bisogno di molto di più che un oliatore. Sopra gli 80 all’ora è consigliabile integrare la conversazione con qualche gesto esplicativo, per farsi intendere meglio dal passeggero, anche se non è altrettanto consigliabile staccare le mani dal volante. La vettura montava un’autoradio di marca occidentale, chiaramente una aggiunta recente. Mi chiedo quale ne fosse l’utilità, se non quella di dare un po’ di ritmo con una base musicale adeguata al rumore della meccanica e della carrozzeria.

    Il costruttore dichiara una velocità massima di 100 Km/h. Io mi sono fermato a 90 Km/h, per due ragioni: la prima è che mi sembrava di andare veramente forte. La seconda è che, anche se non avevo dubbi sulla mia capacità di spingere la vettura fino a quella velocità, ce li avevo -e grandi- sul come fare a fermarla.

    In realtà i freni fanno il loro lavoro abbastanza bene, anche grazie al peso leggero della vettura. Sono quattro onesti tamburi, ovviamente non servoassistiti. Basta non chiedere loro troppo, perchè dopo alcune frenate intense, come tutti i freni a tamburo, si scaldano e si prendono un meritato periodo di riposo, prima di tornare di nuovo efficienti. Inoltre occorre ricordare che il bicilindrico è a due tempi ed il freno motore è ridotto al minimo e che procedere in discesa con il gas chiuso può danneggiare il motore, visto che fa venire meno la preziosa lubrificazione. Certamente se dovessi calarmi con la Trabi da un passo alpino, me la prenderei molto ma molto comoda. Con calma, ma si può fare.

    Il motore (rumore a parte) è stato una piacevole sorpresa. D’accordo, non è un fulmine di guerra, ma se la cava egregiamente. Essendo bicilindrico e per giunta due tempi, è un po’ vuoto di coppia in basso, ma se si ha l’accortezza di tenerlo un po’ su di giri, di “farlo cantare”, come dicevano i nostri nonni, regala le prestazioni che servono per districarsi nel traffico, anche con un certo brio. I 26 ronzini (pardon, cavalli) dichiarati sembrerebbero esserci tutti e, su una vettura così, riescono anche a scalpitare. In pratica in ambito urbano si riesce a viaggiare come il resto del traffico. Con la differenza che gli altri, quelli nelle vetture “moderne” se la stanno prendendo comoda, mentre io nella scatoletta di plastica ero lì che facevo del mio meglio per tenere il passo del traffico del ventunesimo secolo. E ovviamente, una volta che si esce dal centro abitato e la strada offre un allungo, non c’è storia, bisogna rassegnarsi a vedere gli altri che se ne vanno via.

    Lo sterzo è di tipo democratico. Non impartisce ordini alle ruote. Si limita a dare loro dei calorosi consigli. Conviene mettere un grosso cartello “Verboten” (vietato) sulle velleità di guida sportiva. Sarà stato che il giorno che ho fatto la prova c’erano tratti di pavè e di asfalto bagnato, sarà stato che il rumore della meccanica, l’assetto dondolante e le sensazioni che arrivavano dalla vettura non mi inducevano certo a tirare, sarà stata la tensione nervosa e la paura di volare fuori strada con una macchina non mia, sarà stato quel che è stato, ma mi sono guardato bene dal fare il ******o. In realtà, pensandoci dopo, lo sterzo altro non era che il comando un po’ lento ed impreciso che avevano tutte le utilitarie degli anni ’60. Chi ha guidato una 500 o una 850 sa cosa intendo dire. E appunto, se non si pretende quello che non può dare, è perfettamente in linea con le caratteristiche della vettura.

    In compenso le manovre riescono benissimo, perchè la Trabi è una di quelle vetture che vedi esattamente dove finisce la carrozzeria. Non ha quei musi sfuggenti delle vetture moderne, che stendono un velo di mistero mistero su cosa si nasconda davanti al parabrezza o su cosa ci sia dietro di tre quarti. Nonostante le superfici vetrate e gli specchietti pensati al risparmio, si capisce benissimo quello che sta succedendo attorno alla vettura. Gli unici appunti vanno al parabrezza non molto grande (è difficile vedere i semafori, quando si è sotto l’incrocio) ed allo specchietto esterno “vibrante” in velocità.

    La ventilazione è assicurata dai finestrini, rigorosamente ad azionamento meccanico. Per il riscaldamento la vettura sfrutta aria calda che viene fatta passare sopra il collettore di scarico. Ovviamente, se il collettore è bucato dalla ruggine, la macchina si trasforma in una camera a gas. Considerata la scarsa qualità dei materiali, la ruggine non impiegava molto a fare il suo lavoro. In passato la strategia di guida invernale con la Trabi ed il riscaldamento difettoso era quello di alternare cicli di riscaldamento (per non finire assiderati) con altri di “arieggiamento” (per non finire asfissiati).

    ----------------

    Questa è in sintesi, la Trabant 601 De Luxe guidata e giudicata da un automobilista abituato alle vetture dei giorni nostri. Anche se l’esemplare che ho guidato io era nato nei primi anni ’80, mettersi al volante della vettura significa fare un salto indietro di trent’anni almeno. Significa mettere in discussione tutte quelle comodità alle quali siamo più o meno inconsciamente abituati quando ci mettiamo al volante. E’ un’esperienza di guida che richiede una buona dose di sangue freddo per essere portata a termine. O di incoscienza. O di entrambi, per uno come me che ha quasi esclusivamente guidato macchine costruite dal 1975 in avanti. Al contrario chi usa normalmente una vecchia 500 o una 600 nella Trabant non potrà che sentirsi a casa sua.

    Quelli che ho espresso sopra sono giudizi severi, che in realtà non rendono giustizia alla vettura. Tutte le comodità, gli accessori, i servomeccanismi ed il progresso stesso della tecnica vengono annullati, di colpo, da un unico, indiscutibile fatto. Stringere il volante di una Trabi tra le mani significa provare l’emozione di guidare un’automobile che è entrata nella storia. Significa essere al volante di una leggenda con le ruote. Il detto “Trabant, die Legende auf Raidern” è più che meritato. Dopo qualche chilometro non te ne frega poi così tanto se gli altri sono più veloci, se frenano meglio, se stanno seduti più comodi, al caldo d’inverno ed al fresco d’estate.

    E’ una sensazione unica, che non si può descrivere a parole. L’unica cosa che posso dire è che sono sceso dalla macchina con gli occhi lucidi, a malincuore e con il groppo in gola. Ho restituito le chiavi al proprietario, senza dire una parola. A volte parlare non serve, ci si capisce lo stesso. L’ ho invitato a bere qualcosa, gli ho detto grazie e ci siamo salutati. L’unica cosa che so è il suo nome. E il ricordo di vederlo allontanarsi a bordo della sua macchina, seguito dall’immancabile nuvoletta di fumo azzurrognolo.

    Io invece sono risalito sulla mia moderna media presa a noleggio, ho girato la chiave, ho messo un CD di Nena nel lettore, ho dato una veloce occhiata alla mappa per sapere come tornare a Lipsia e mi sono messo in viaggio sulle note di “Tanz auf den Vulkan”. Forse ho rischiato molto grosso, potevo veramente schiantarmi da qualche parte. Forse quel giorno ho veramente ballato sull’orlo del vulcano. Ma ne è valsa la pena, ho guidato una leggenda su ruote.

    Dipendesse da me, in paradiso un giorno dovrebbero riservare un posto ad una Trabi P601 De Luxe azzurra con il tetto bianco. Se lo è meritato.
    Mettiamo le cose nella loro giusta dimensione...

  2. #2
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    Che bell'articolo, che bei ricordi!
    Io ho avuto la fortuna di viaggiare (come passeggero dato che correvano gli anni 1987 e 1988...) a bordo delle mitiche Trabant durante due gemellaggi di ben 21 giorni con il paese di Sebnitz a pochi chilometri da Dresda e pochi metri dall'allora Cecoslovacchia (la raggiungevamo a piedi attraversando un confine nei campi costituito da un nastro in plastica bianco e rosso). Ricordo anch'io racconti del tipo: quando nasce un bambino corriamo a prenotare l'auto per i suoi 18 anni (una specie di dote) un po' come da noi accade nel modenese con le batterie di aceto balsamico . Come non rimanere affezionati a questo pezzo di storia! Non per niente a casa mia campeggiano un modellino proprio nel colore che credo corrisponda al verde ranocchio da te citato e un calendario perpetuo con raffigurata la "tecnica" di un esemplare carta zucchero e tetto bianco come quello della tua prova
    Grazie per aver rinfrescato questi indimenticabili ricordi!
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    "La teoria è quando si sa tutto e niente funziona. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa il perché. Noi abbiamo messo insieme la teoria e la pratica: non c'è niente che funzioni ... e nessuno sa il perché!" A. Einstein

  3. #3
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    C'era anche chi la ordinava pur non avendone bisogno. Dal momento che la lista di attesa ad un certo punto era arrivata a 12 anni, una volta entrati in possesso della vettura la si poteva rivendere con un discreto guadagno, perchè da usata valeva più che da nuova. Infatti l'unico modo per averla subito era comprarla usata, oppure avere qualche appoggio per guadagnare posizioni nella lista di attesa.

    Nella Specifica Trabantica il verde ranocchio era Cliffgrun e il modello De Luxe aveva il tetto bianco, mentre quella che ho guidato io era Kristallblau con il tetto bianco. La base e la Universal, cioè la giardinetta, erano monocolore.
    Mettiamo le cose nella loro giusta dimensione...

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